Un'adhocrazia è un'organizzazione che non segue i principi classici del management, secondo i quali ognuno riveste un ruolo bene definito e permanente, ma favorisce l'impostazione di un'organizzazione più fluida, nella quale i singoli individui sono liberi di esercitare il proprio talento in base alle diverse esigenze aziendali.
L'idea, essenzialmente, rappresentò un tentativo di rispondere alla domanda circa le modalità secondo le quali le aziende avrebbero dovuto creare un adeguato modello organizzativo per il futuro.
Essa riguarda sia la natura del lavoro manageriale e il processo di formazione della strategia, sia le problematiche sociali (da un punto di vista storico, la forma organizzativa può essere considerata come un'evoluzione che, partendo da una struttura semplice e passando attraverso le fasi della burocrazia rigidamente regolata e del modello divisionale, arriva all'adhocrazia).
L'adhocrazia è un progetto organizzativo di tipo organico che realizza concretamente un'impresa aperta, libera, flessibile, creativa, spontanea, di un'impresa, cioè, che è l'antitesi della grande impresa tradizionale.
Le sue caratteristiche sono quelle di un'organizzazione orizzontale o laterale, nella quale si ricorre ampiamente ai team che, oltre a essere fortemente responsabilizzati, sono anche autodiretti.
Il concetto fu presentato e approfondito da Alvin Toffler nel suo libro "Future Shock", pubblicato nel 1970.
L'adhocrazia è un'organizzazione non burocratica, a rete. "Questa forma è già comunemente utilizzata in organizzazioni quali gli studi legali, le società di consulenza e le attività di ricerca delle università. Tali organizzazioni e istituzioni devono ristrutturarsi continuamente per adattarsi alle costanti modifiche dei progetti, ciascuno dei quali richiede combinazioni in qualche modo differenti di competenze e di altre risorse. Queste organizzazioni dipendono da molti project team in rapida evoluzione e da intensi scambi di comunicazioni fra questi gruppi relativamente autonomi e caratterizzati da spirito imprenditoriale", sottolinea Toffler.
Toffler è poi andato oltre, affermando che le organizzazioni e le istituzioni attualmente esistenti sono strutture appesantite e sorpassate. Il problema, sostiene, è la mancanza di flessibilità. "Come mai sembra che tutte le nostre istituzioni stiano attraversando simultaneamente un periodo di crisi?" si domanda. "Perché mai il sistema sanitario, giudiziario, scolastico, dei valori e chi più ne ha più ne metta, sono tutti in crisi? Ci deve essere qualcosa in comune tra tutti loro (...) E come mai lo stesso accade a Tokyo e a Londra e in Italia e così via? Perché mai c'è una crisi politica in tutti i Paesi nei quali le questioni politiche sono importanti? La risposta è che siamo in presenza di non poche istituzioni che furono progettate o per un mondo fondato sull'agricoltura (...) come lo furono i parlamenti, oppure (...) per l'epoca della rivoluzione industriale, ma che non soddisfano più le esigenze del nostro mondo odierno. Il problema, allora, era che ci volevano tre mesi perché un messaggio, dall'Ohio arrivasse a Washington e viceversa. E l'idea era che il senato sarebbe stato una camera per deliberare, con tutto comodo, sulle questioni di maggiore importanza. Ma adesso, via! Non c'è più nessuno che si possa permettere di sprecare due minuti. Dunque, le condizioni esterne sono radicalmente mutate".
"Oggi, quindi, la questione riguarda il grado di flessibilità delle istituzioni stesse. Noi siamo fortunati, gli americani sono fortunati, perché il nostro sistema è generalmente più flessibile e più decentrato rispetto a quelli degli altri paesi industriali, il che ci mette in posizione di vantaggio. Tuttavia, non credo che il sistema possa continuare indefinitamente nella sua forma attuale". Quel che ci vuole, suggerisce Toffler, è un passaggio complessivo verso l'adhocrazia.
Henry Mintzberg opera una distinzione tra due
tipologie di Adhocrazia: l'Adhocrazia operativa agisce nell'interesse
dei propri clienti (ad esempio una società di consulenza) mentre
l'Adhocrazia amministrativa serve se stessa.
Assieme ai benefici di una forma organizzativa più fluida, osserva Mintzberg, vi sono alcuni inconvenienti potenziali.
Uno dei problemi, fa notare, è dato dalla possibilità che i manager di un'Adhocrazia si impegnino troppo poco nell'impostazione della strategia. Il pericolo è che essi siano assorbiti solo dalla soluzione dei problemi invece che dall'analisi proattiva e dalla formulazione di programmi correttivi e innovativi.
La dicotomia classica fra decisioni operative e strategiche può facilmente risultare confusa. Operativamente i manager delle adhocrazie possono spesso trovarsi immischiati nella soluzione di conflitti fra opzioni, rispondendo ai problemi esistenti invece di cercare di muoversi in direzioni radicalmente nuove.
Può accadere, in tal modo, che le decisioni siano reattive piuttosto che proattive.
Un'Adhocrazia efficiente, afferma Mintzberg, deve fare entrambe le cose, ossia sondare l'ambiente per individuare indirizzi nuovi e stare al passo con i prodotti e i servizi richiesti da quell'ambiente. In altre parole, essa deve bilanciare la necessità di agire a breve termine con quella di avere una visione di più lungo periodo sui cambiamenti che si verificano.
Secondo Mintzberg, tuttavia, nell'Adhocrazia la strategia nasce più dal flusso operativo di decisioni determinate dall'azione che non dai proponimenti coscienti degli strateghi.
Egli osserva che la pianificazione dell'azione può sfociare nel fatto che gli strateghi cadono in una sorta di trappola delle attività. In effetti, prestare troppa attenzione alle attività potrebbe costituire un limite alla flessibilità dell'organizzazione e alla sua capacità di reagire creativamente alle presioni ambientali.
Questo fatto potrebbe impedire agli strateghi di accantonare il problema immediato per dedicarsi all'identificazione delle cause sottostanti e, quindi, porvi rimedio, oppure potrebbe impedire loro di avvantaggiarsi di nuove opportunità.
Un intervento mirato potrebbe fermare l'emorragia ma anche riservare un'attenzione troppo scarsa alle condizioni di salute del "paziente" di lungo termine.
Affine a quella di Adhocrazia, è la nozione di ""sacche di buona pratica". Si tratta del riconoscimento del fatto che, spesso, il cambiamento migliore e più efficace non è quello che prende le mosse dal vertice bensì quello che parte dalla base, attraverso le buone pratiche esistenti nell'organizzazione.
"Con il diminuire della rigidità delle strutture organizzative, aumenta il potere dei singoli individui", dice David Butcher, professore della Cranfield School of Management che si è fatto paladino dell'idea.
"A questo punto, la domanda da porsi riguarda le modalità con le quali assicurarsi che il potere esercitato sia un potere fondato su buoni principi. Il che rimanda specificamente alla distinzione fra buona e cattiva politica.
via http://www.qualitiamo.comAssieme ai benefici di una forma organizzativa più fluida, osserva Mintzberg, vi sono alcuni inconvenienti potenziali.
Uno dei problemi, fa notare, è dato dalla possibilità che i manager di un'Adhocrazia si impegnino troppo poco nell'impostazione della strategia. Il pericolo è che essi siano assorbiti solo dalla soluzione dei problemi invece che dall'analisi proattiva e dalla formulazione di programmi correttivi e innovativi.
La dicotomia classica fra decisioni operative e strategiche può facilmente risultare confusa. Operativamente i manager delle adhocrazie possono spesso trovarsi immischiati nella soluzione di conflitti fra opzioni, rispondendo ai problemi esistenti invece di cercare di muoversi in direzioni radicalmente nuove.
Può accadere, in tal modo, che le decisioni siano reattive piuttosto che proattive.
Un'Adhocrazia efficiente, afferma Mintzberg, deve fare entrambe le cose, ossia sondare l'ambiente per individuare indirizzi nuovi e stare al passo con i prodotti e i servizi richiesti da quell'ambiente. In altre parole, essa deve bilanciare la necessità di agire a breve termine con quella di avere una visione di più lungo periodo sui cambiamenti che si verificano.
Secondo Mintzberg, tuttavia, nell'Adhocrazia la strategia nasce più dal flusso operativo di decisioni determinate dall'azione che non dai proponimenti coscienti degli strateghi.
Egli osserva che la pianificazione dell'azione può sfociare nel fatto che gli strateghi cadono in una sorta di trappola delle attività. In effetti, prestare troppa attenzione alle attività potrebbe costituire un limite alla flessibilità dell'organizzazione e alla sua capacità di reagire creativamente alle presioni ambientali.
Questo fatto potrebbe impedire agli strateghi di accantonare il problema immediato per dedicarsi all'identificazione delle cause sottostanti e, quindi, porvi rimedio, oppure potrebbe impedire loro di avvantaggiarsi di nuove opportunità.
Un intervento mirato potrebbe fermare l'emorragia ma anche riservare un'attenzione troppo scarsa alle condizioni di salute del "paziente" di lungo termine.
Affine a quella di Adhocrazia, è la nozione di ""sacche di buona pratica". Si tratta del riconoscimento del fatto che, spesso, il cambiamento migliore e più efficace non è quello che prende le mosse dal vertice bensì quello che parte dalla base, attraverso le buone pratiche esistenti nell'organizzazione.
"Con il diminuire della rigidità delle strutture organizzative, aumenta il potere dei singoli individui", dice David Butcher, professore della Cranfield School of Management che si è fatto paladino dell'idea.
"A questo punto, la domanda da porsi riguarda le modalità con le quali assicurarsi che il potere esercitato sia un potere fondato su buoni principi. Il che rimanda specificamente alla distinzione fra buona e cattiva politica.